Bullismo e cyberbullismo. Finora abbiamo sviscerato principale quelli che sono i termini giuridici e tecnici, le conseguenze derivanti da fatti illeciti per genitori, insegnanti, personale ATA, dirigente scolastico, bullo e vittima. Ma non c’è solo coercizione o devianza. Il lavoro più importante è fatto di prevenzione più che di recupero, perché prevenire bullismo e cyberbullismo è possibile. In una società ormai informatizzata al massimo dove al centro delle vite dei nostri ragazzi troviamo in particolar modo i social network è necessario imparare a stare al passo con i tempi.
Non vanno certo demonizzati i social, ma va sicuramente spiegato ai ragazzi e alle ragazze cosa comporti un uso smodato e non consapevole delle regole vigenti nella vita reale come in Rete, cosa comporti un linguaggio “solo virtuale” e schermato dalla mancanza fisica ed empatica della persona con la quale si comunica o quali sono le conseguenze di un attacco pubblico o privato a qualcuno.
È necessario constatare che la socialità è cambiata, ma è necessario come scuola e come famiglia non giocare a rimpiattino con le responsabilità educative. È necessario premere per l’introduzione di una educazione alla digitalizzazione già all’interno della scuola primaria di secondo grado, con eventuali corsi propedeutici anche alla scuola primaria di primo grado visto l’alto utilizzo di tablet e smartphone già in età pre scolare. Questo consentirebbe un percorso graduale, impostato sulla consapevolezza sia tecnica che comportamentale e giuridica legata ad un utilizzo ponderato in base all’età. Importante l’affiancamento delle famiglie alle quali si richiede lo sforzo di seguire corsi simili a quelli impostati per i ragazzi, perché non si introiti più il sunto comune che i figli sappiano usare meglio telefoni e pc per cui questo sia anche sinonimo di bravura e non necessità di controllo. Il controllo non deve essere inteso come una morsa restrittiva ma come una tutela. Una tutela necessaria legata alla minore età. Che si può di certo allentare mano a mano che si completi una corretta educazione alla digitalizzazione.
Per fare ciò è necessario un team multidisciplinare che si occupi della parte giuridica e della parte informatica. In questo modo genitori, ragazzi e insegnanti verrebbero formati e preparati non in modo asimmetrico e i risultati sarebbero certo migliori di quelli ottenuti con interventi spot che sicuramente sono utili nell’immediato ma non fanno presa nel lungo periodo. Non va trascurato in alcun modo, poi, l’aspetto empatico che coinvolge gran parte dei miei percorsi formativi all’interno delle scuole o nei percorsi serali fatti con i genitori e gli insegnanti. Imparare a mettersi nei panni degli altri è fondamentale per non perdersi all’interno del linguaggio social altamente spersonalizzato, monocorde e privo del confronto reale che invece ci induce, ad esempio, di solito anche durante un litigio, a frenare parole, gesti, emozioni, in virtù della risposta emotiva del nostro interlocutore. Spersonalizzarsi nelle emozioni ha comportato un aumento drastico dei fenomeni legati al cyberbullismo proprio per l’incapacità di comprendere che la vittima soffrisse o potesse provare dolore o rabbia. Per l’incapacità di comprendere che un fatto, non per il fatto stesso di esser stato prodotto nel cyberspazio, possa perdere di efficacia perché privo della violenza fisica. Ecco che l’empatia deve tornare al centro di un percorso educativo legato alla digitalizzazione perché non si deve lasciar spazio all’illusoria convinzione che basti un profilo social per tutto.
Le parole d’ordine sono e rimangono poche ma fondamentali: educazione, ascolto, empatia, consapevolezza e padronanza dei mezzi.
Giurista specializzata in bullismo e cyberbullismo, formatrice in scuole ed enti. Appassionata di lettura e scrittura. Fonda il suo credo professionale sul brocardo plutarchiano “la Mente non è una nave da caricare ma un fuoco da accendere”