Cosa sono i linguaggi di programmazione? E soprattutto come si possono insegnare? Queste le domande intorno alle quali ruota il libro “Insegnare il coding” di Stephen R. Foster e Lindsey D. Handley, entrambi ricercatori e impegnati da anni nell’insegnamento della programmazione, da loro ritenuta un diritto fondamentale dell’uomo.
Un libro che si rivolge principalmente ai docenti tecnici, ma che per la semplicità del linguaggio e per l’originalità dell’approccio fatta per “storie”, non esclude nessuno, invitando tutti a vedere il coding come uno strumento per semplificare il mondo che ci circonda.
Programmare è una magia?
“I programmatori di domani sono i maghi del futuro” è la frase di Gabe Newell, fondatore di Valve, che apre il prologo del libro. Ma per programmare non serve certo un mago, così come per insegnare a programmare è “sufficiente” trasmettere la bellezza del creare algoritmi attraverso nuove lingue.
Due sono i percorsi proposti dal libro: “Fuori da un linguaggio” e “Dentro un linguaggio”. Il primo porta alla scoperta della progettazione di un linguaggio e alla comprensione di quanto sia interessante immaginare potenzialità e trappole cognitive di ogni espressione. Il secondo accompagna chi legge nella sperimentazione dei linguaggi, anche attraverso semplici esercizi che aumentano di complessità con lo sfogliare delle pagine.
Cosa sono i linguaggi di programmazione?
“Questo libro parla di linguaggi che fanno fare cose ai computer“, si legge nelle prime pagine. Linguaggi che una volta compresi non solo aiutano a risolvere problemi fornendo a computer, smartphone, sistemi automatici le chiavi di lettura della realtà, ma possono dare vita anche ad altri linguaggi, come fosse un “rito di passaggio”.
“I nostri linguaggi di programmazione possono essere appresi, impiegati, insegnati e create. Hanno molte facce e sfaccettature. Per uno studente un linguaggio è la strada sotto i suoi piedi, la spada magica che sta brandendo, il mentore che ha incontrato lungo la strada, la montagna che sta scalando o persino (a volte) l’acerrimo nemico. E’ inevitabile: i linguaggi sono personaggi complicati“.
La frase più bella del libro?
“Memoria di lavoro, attenzione, tempo. Queste sono le risorse, limitate, di cui dispone la mente. Errare è umano. O il suo corollario: essere umani significa avere accesso a risorse mentali così limitate che siamo condannati a sbagliare continuamente“.
Questa frase condensa il senso del libro: non trasferire pochi concetti utili a realizzare un piccolo programma, ma approcciarsi al coding per risolvere la complessità del mondo, senza la presunzione di risolvere tutto e soprattutto senza il timore di sbagliare.
E' analista, programmatrice e formatrice. Giornalista per passione, scrive quasi esclusivamente di tecnologia. Ma prima o poi cambierà tema. O forse no.